Di Luca Bacchi Inizio oggi un digiuno di tre giorni dai cibi solidi.
Sento il bisogno di depurarmi nel corpo, nella mente e nelle emozioni. Dopo questa luna piena del 13 aprile, così intensa per me, ho bisogno di lasciare andare tutte le scorie che sento addosso, e dentro. Non è difficile digiunare tre giorni quando c’è una motivazione. Solitamente i digiuni falliscono per mancanza di motivazione, non certo per problemi di salute: il corpo umano può fare a meno del cibo per molto tempo, solo che non è abituato. Ho già digiunato per tre giorni: ero al fiume, dormivo in tenda... un altro contesto, forse più facile, perché non avevo il frigorifero e la dispensa a portata di mano. Digiunare in casa propria presenta qualche difficoltà in più, soprattutto per il fatto di trovarsi in un ambiente familiare, quindi a rischio di monotonia. E la monotonia spesso fa venire fame! Mi sono svegliato, cambiato e lavato. Dopo le “abluzioni” — come si dice in certi ambienti — mi sono dedicato alla preghiera, che per me adesso ha una forma molto essenziale, diretta, fatta di poche parole e molti silenzi. Offrire la giornata a ciò che per me è Dio mi rassicura e mi mette nella condizione di "colui che ha scelto di affidarsi" a qualcosa di più grande, che fa girare me e tutto il mondo. Voglio essere in armonia con ciò che fa girare il mondo: credo che sia questo il segreto della pace. Così ho rivolto la mia preghiera, pressoché silenziosa, al mio cuore, luogo in cui Dio si affaccia in ascolto, offrendo un incenso. Dopo la preghiera, solitamente, mangio. Ma oggi mi sono limitato a bere qualcosa di caldo: una tazza di orzo, nient’altro. Già adesso, all’ora della colazione, il corpo si aspetta del cibo: è come se lo stomaco, pochi minuti prima dell’orario stabilito, già aprisse le sue fauci da sé, per abitudine. E se io non introduco nulla, lui ci rimane male... e inizia letteralmente a brontolare. Già questo fatto è spunto di molte riflessioni, perché mostra con grande evidenza come il corpo umano si muova per automatismi: è come una locomotiva che posizioniamo su un binario, le diamo una direzione, e lei prosegue sempre su quel tracciato. Molte esigenze fisiche sono il frutto di abitudini consolidate negli anni: cambiare queste abitudini diventa quindi un vero esercizio fisico di elasticità corporea. La ripetizione blocca il corpo nelle stesse possibilità, e lui si fossilizza. Così, un cambiamento improvviso viene percepito come una rottura, proprio per mancanza di elasticità. Allora, così come cerchiamo di mantenere muscoli e articolazioni elastici con lo yoga o lo sport, è bene mantenere elastici anche lo stomaco, la mente, le emozioni… per non rischiare di diventare pezzi di legno secchi, che si spezzano facilmente. Lo stomaco brontola. Sta aspettando il suo cibo all’ora prestabilita. E io lo ascolto, lo rassicuro, ci parlo, spiegandogli che questo piccolo sacrificio ci renderà più forti, entrambi. Lavoro nell’orto. Sistemo la pacciamatura che i merli continuano a scavare, spostare e ribaltare sopra alle insalate. Le patate stanno iniziando a spuntare dal terreno: ho visto le prime foglie verdi proprio oggi. Do un po’ d’acqua al semenzaio, dove stanno crescendo zucchine e pomodori, ancora al riparo dal freddo delle notti di aprile. E lavorando, non penso alla fame. Non penso al cibo. Continuare le attività quotidiane anche durante il digiuno è importante, perché farle a stomaco vuoto è diverso: tutto prende una luce differente. Il fatto di essere a digiuno acuisce la mente, e il focus sull’attività è maggiore. Inoltre, non avere la preoccupazione di preparare da mangiare è una distrazione in meno. A stomaco vuoto si lavora decisamente meglio. Conosco bene la parabola del digiuno: inizialmente c’è l’entusiasmo di chi comincia, la voglia, la forza di partire. Poi arriva la fame vera, quella della prima sera. Rientrando dopo il lavoro, vedere la tavola vuota può mandarci in crisi, perché il nostro stomaco si aspetta il pasto. Io, la prima sera — non avendo fatto né colazione né pranzo — sento dentro di me un vuoto così totale che mi mangerei qualsiasi cosa. Immagino il bicchiere di vino accompagnato da formaggi e affettati come antipasto, poi una tagliatella, poi le patate al forno, il pane fatto in casa, eccetera eccetera. E una voce dentro di me inizia a farsi sentire sempre più forte e chiara. Solitamente dice cose tipo: “Perché non vai al ristorante qui vicino? Non devi neanche cucinare. Sei stanco. E poi lì spendi poco, ti conoscono, ti fanno pagare meno. Hai lavorato tutto il giorno, te lo meriti! Dai, cosa aspetti? Fatti una doccia e vai al ristorante…” Insomma, questa è la fase più difficile, perché è la prima sera di digiuno, e tutto il mio essere si aspetta il cibo. Poi accade che, resistendo — magari bevendo una tisana, facendo una doccia, andando a letto — supero così il primo giorno. Anche la mattina seguente è abbastanza difficile, ma poi, nel pomeriggio del secondo giorno, si inizia ad entrare in uno stato di “nuova normalità”, di accettazione che coinvolge corpo e mente. Da qui in avanti, le crisi di fame si riducono, fino a scomparire. Il terzo giorno, solitamente, è facile da superare: il corpo non chiede più con insistenza, e la mente si è stabilizzata. In questo digiuno mi aspetto le stesse dinamiche. Sono preparato.
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Aprile 2025
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