Di Luca Bacchi Capisco benissimo la rabbia del figlio maggiore. Ecco perché dico questo: Il padre si rivolge al maggiore dicendo: "quello che mio è tuo", ma di fatto ha deciso autonomamente di uccidere il "loro" vitello grasso. Se il vitello fosse stato di entrambi, la decisione di ucciderlo andava presa di comune accordo. Invece no, il padre si contraddice, affermando una cosa a parole e smentendola nei fatti. Dai fatti si evince che il vitello grasso è di proprietà del padre il quale può decidere liberamente cosa farne, senza interpellare il figlio maggiore. Si evidenzia e si rafforza quindi una gerarchia, il padre è rimasto padre e proprietario di tutto, mentre il figlio primogenito è rimasto figlio e non possiede nulla, se non per concessione del padre. C'è scritto che la proprietà del padre è stata divisa in parti uguali, "divise tra loro le sue sostanze" ma di fatto solo il figlio minore ne è divenuto proprietario. Il figlio maggiore invece, rimanendo nel campo di azione del padre, non ha ricevuto la metà delle sostanze del padre; la sua metà è ancora del padre. La frase diretta al figlio primogenito "ciò che è mio è tuo" non corrisponde alla realtà dei fatti, e questa ambiguità secondo me contribuisce alla rabbia del figlio. Il primogenito si è indignato perché il padre non lo ha coinvolto nella decisione. Si è così accorto in maniera dirompente di non possedere nulla perché tutto è ancora del padre. Probabilmente si sarà sentito una nullità, di non contare nulla, di non aver fatto nulla nella sua vita e di non avere realmente nulla di suo. Ecco dove nasce la sua rabbia.... Accorgersi di non aver costituito una propria identità separata dal padre. Quindi, in ultima analisi, questa rabbia può essere vista come una rabbia verso se stesso per non essere mai stato libero. In ultimissima analisi, la sua è una mancanza di libertà interiore. E' ancora legato al padre come da un cordone ombelicale; la sua relazione con il padre non è una scelta ma è una situazione subita. Si è accorto di essere ancora bambino e di non aver mai avuto la forza di creare una sua identità separata. Mentre il secondo genito ha scelto il Padre, ritornando, lui invece non ha mai fatto questa scelta. Si è accorto in quell'istante che la sua relazione col padre è diventata un peso, un impedimento alla propria evoluzione ed individuazione, alla creazione della propria identità. Questo credo che sia il destino di tutti i primi nati: Essere legati fortemente e tenacemente alla propria famiglia di origine. Un sorta di responsabilità e dovere , un peso sulle spalle di nascita. PS. Tutta questa mia riflessione non toglie la bellezza del ritorno di quel figlio che si era perduto Lettura: LC 15,11-32
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
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