Sono arrivato a Fonte Avellana con un clima variabile, nuvole, sole, vento forte. A marzo, quando venni qui per la prima volta mi accolse una nevicata che rese il paesaggio come incantato. Questa volta è il vento l'elemento che spicca al mia arrivo. Mentre la neve si appoggia sulle cose, le protegge, invita alla sospensione e all' attesa, il vento invece è simbolo di movimento, di energia in espressione, di cambiamento. Come leggere quasi simboli che la natura mi ha portato?
E' certo che questo intensivo si presenta per me proprio in un momento di grande energia e dinamicità, elettricità interiore che cerca espressione, che esige espressione. Sul sentiero contemplativo sto imparando ad osservare ciò che mi circonda con occhio da esploratore, alla ricerca del simbolo e del messaggio che porta con se e che consegna a me. La vita, con questo atteggiamento, diventa un grande viaggio di esplorazione, con infiniti oggetti di grande interesse. La vita che si manifesta in ogni sua forma acquista così maggior valore. Questo atteggiamento va coltivato e riproposto con impegno e disciplina ogni qualvolta mi accorgo di averlo smarrito. Non è facile, sono tanti i momenti di oblio in cui, identificato con la mente, mi perdo e vago senza meta con disperazione e rabbia. Ma ora ho gli strumenti per tornare a riva, la sfida è attuarli nel quotidiano. Ho ritrovato persone che condividono con me lo stesso percorso, e mi sono sentito a casa. Condividendo lo stesso cammino ci accomuna un "sentire" e una "comprensione" che rende la relazione immediata e naturale. Accade di sentirsi capiti, compresi, e le parole come semi non cadono sull'asfalto ma trovano terreno fertile. Non entro nel dettaglio dell'esperienza ma rimando sul "generale" posso dire che è stata una discesa nella profondità della vita, una discesa a tratti dolce, a tratti decisa e ripida. Ho sentito la lenta fusione con la vita, lo scioglimento graduale in essa, ma anche le mie barriere più resistenti spezzarsi e frantumarsi sotto i duri colpi delle vibrazioni emanate dal gruppo e che evidentemente a me risuonavano anche come colpi di machete. Dopo la "discesa" nella vita, la fase successiva è stata quella del "restare" nella vita, una "sospensione" intensa senza tempo ne spazio nell'essere. Infine la riemersione. L'intensivo ha questa conformazione, di discesa, di sospensione e di risalita. Una conformazione direi necessaria considerando da dove veniamo e dove andremo prima e dopo l'inetensivo, ovvero la vita fernetica di tutti i giorni. Esperienza dell'essere. Possibile, accessibile. Da portare nella vita di tutti i giorni come una danza, la danza armoniosa dell'essere e del divenire.
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"G: Lo so, l'ho sempre saputo che non ho radici.
R: Allora finché non ci saranno radici, non ci sarà direzione, e non ci sarà completezza e soddisfazione nella piccola commedia della tua esistenza. E che cosa significa avere radici? G: Sapere che ci sono io, per come sono io. R: Io chi? Definisci, che cosa è questo essere "io"? Tu sei percezione, sensazione, emozione, cognizione e sei anche un sentire che contiene tutto questo e lo trascende, ma allora ti chiedo: "Hai molta famigliarità con la cognizione e con l'emozione, mai hai altrettanta familiarità con la percezione, con la sensazione, e con quel qualcosa di ancor più sottile, che si colloca tra percezione e sensazione, che definiamo energia? G: No. R: Allora va a vedere come la tua vita si è sviluppata nell'ambito della cognizione e dell'emozione e oscilla costantemente tra quei due elementi, ma non poggia su di una piattaforma che è costituita dalla percezione e dalla sensazione, la piattaforma del corpo! E' lì che bisogna andare, questo significa mettere radici: la radice è quell'essere qui, adesso, in ciò che accade, e adesso accadono delle cose molto semplici: accadono percezioni, accadono sensazioni, emozioni, pensieri, e accade un sentire più vasto. Tutto questo accade, ma ci sono alcuni aspetti che tu non percepisci: mentre siamo qui, per te è evidente l'emozione, è evidente il pensiero, ma è molto meno evidente il tuo corpo, l'ambito che ti radica, che ti tiene qui." (Il sentiero contemplativo) Lezione aperta di MEDITAZIONE
Presso il Centro Natura (BO) 21 giugno ore 21:00 Tutta la storia dell’uomo ha origine nella parola
"In principio fu il verbo", ora capisco cosa significa Prima della parola nulla era descrivibile, nulla era definibile, nulla era raccontabile, nulla era nominabile, nemmeno pensabile Tutto esisteva e basta Quando l’uomo ha iniziato a parlare, definendo la realtà con le parole, è iniziata la sua storia. Ha definito, separato, spezzettato il "tutto" con infinite definizioni Ha definito anche se stesso Il "tutto" è morto quel giorno La realtà è morta, lasciando spazio alla sua definizione "Realtà" e "definizione della realtà" due mondi che divergono sempre di più Un cammino di separazione che continua ai giorni nostri, giorni in cui spesso usiamo le parole senza conoscere ne la loro origine ne il loro significato Costruendo su di esse le nostre “certezze” Siamo spaesati, manca la certezza Manca la realtà, e un’inquietudine ci spinge a cercarla perché l’abbiamo smarrita Occorre tornare all’origine Tornare a quel silenzio prima di ogni parola (Foto: Eremo di Camaldoli -Parco delle Foreste Casentinesi - 2011) Questa mattina mi sono sorpreso a fischiettare la musica di un videogioco che era presenza fissa nelle sala giochi degli anni 80-90, il Tetris.
Io sono un tecnico elettronico, aggiusto terminali portatili e nel mio lavoro non ci sono tracce di Tetris. Com'è possibile che nella mia mente emerga il ricordo di quella musica ascoltata 20 anni fa, qui e ora nel mio ufficio? Gli oggetti della mente, i pensieri, le immagini, i suoni, sgorgano, emergono, vengono a galla da una sorgente misteriosa sulla quale non ho alcun controllo. Potrei dire che la causa scatenante di questo pensiero sia stato ad esempio il trillo del cellulare di un collega, oppure l'attività di riparazione che stavo svolgendo che richiamava in qualche modo la dinamica del gioco Tetris ovvero l'incastro tra pezzi uno dopo l'altro, comunque in ogni caso si tratterebbe sempre di un fattore esterno a me che ha "aperto" la porta che teneva rinchiuso quel ricordo. Potrei dire quindi che c'è un forte condizionamento esercitato dai fenomeni ambientali sui miei oggetti mentali. Ma sui fatti esterni che controllo ho? Nessuno; quindi non posso avere di certo controllo sui pensieri che sgorgheranno di conseguenza. Conseguentemente, non avendo il controllo dei pensieri non ho alcun controllo nemmeno sul "sentire" ne sulla "spinta" che quei pensieri provocano in me. Quindi anche le mie azioni successive saranno fortemente condizionate da quei pensieri "incontrollati". Certamente, con la consapevolezza, ad un certo punto posso eseguire una scansione di ciò che accade e dire si o no, lo faccio o non lo faccio, lo assecondo o lo soffoco. Ma la forza stessa per farlo o l'atto della presenza mentale, non sono di certo frutto di una mia scelta; in quel momento o sono presenti o non sono presenti. Oltretutto la consapevolezza che metto in atto è un "accorgersi" di qualcosa che già si è manifestato. Insomma, tutto accade senza controllo, il controllo è solo un' illusione. Il controllo stesso è un fenomeno che si manifesta senza controllo. A questo punto, se tutto accade senza controllo, dirò, illudendomi di controllare, che l'atteggiamento aderente alla vita dovrebbe essere quello di abbandono totale, fiducioso e sorpreso, perchè così è, così è sempre stato e così sarà. (Foto: il gioco del Tetris. In effetti anche nel gioco del Tetris non sai mai quale sarà il prossimo pezzo che scenderà)
#ASIA , #MEDITAZIONE"L’ultima parola rivolta ad Arsenio è: QUIESCE, <<riposati>> o << entra nel riposo>>.
I monaci latini, particolarmente i certosini, indicano nella <<quies>> lo scopo della vita cristiana; è traduzione di ciò che i monaci greci chiamano esichia, gli ebrei <<shalom>; è la pace di Dio. <<Trova la pace interiore, diceva San Serafino, e una moltitudine verrà salvata con te>>, come se la salvezza di tutti dipendesse dal nostro stato di pace interiore. Se crediamo all’interrelazione di tutte le cose - <<impossibile sollevare un filo di paglia senza disturbare una stella>> - possiamo essere certi che un essere di pace comunica la sua calma e serenità al mondo intero. Non si medita mai solo per sé. D’altra parte, nel libro della Sapienza è detto che <<Dio cerca fra gli uomini un luogo per il suo riposo>>; l’uomo in pace è dimora di Dio. Si comprende così l’importanza dell’esichia presso gli anziani; senza di essa Dio non può dimorare in mezzo agli uomini, poiché la fuga dall’agitazione, il silenzio delle labbra e del cuore non hanno altro scopo che condurre a questo riposo. E’ il senso del Shabbat, il riposo del settimo giorno. L’uomo ha ricevuto una missione diversa da quella di fare, del produrre e dell’accumulare averi, sapere e poteri. La sua missione è essere sempre più vicino a Colui che è l’essere stesso, al punto di fare uno con Lui. L’uomo lavora per potersi riposare, tutti i lavori del deserto non avrebbero alcun senso se non fossero calamitati da questo sacro senso dell’esichia. Il rispetto del Shabbat è un comandamento; è qui che l’uomo, al di là della classe cui appartiene, al di là delle sue maschere e delle sue funzioni, ritrova la propria identità di figlio di Dio. Il più ignorato e più importante dei diritti dell’uomo è il diritto dell’uomo alla contemplazione. Ma contemplare, lasciar essere Colui che è, rimanere nella pace, non sono attività così semplici da praticare, sono il frutto e il segno di una personalità in armonia con se stessa - pur nelle difficoltà del quotidiano - e soprattutto in armonia con Dio riconosciuto come il Principio di tutto ciò che accade. Molti, a forza di cercare la pace, hanno perso ogni riposo! A forza di solitudine e di silenzio alcuni non hanno trovato nel deserto che insensibilità e indifferenza, il loro cuore di carne è diventato un cuore di pietra; altri finiscono la loro vita da maniaci, megalomani o depressi, quando non crudeli o disperati… La pace del cuore è il desiderio di tutti ed è l’espressione meno comune. QUIESCE. Occorre forse prendere questa parola innanzitutto nel senso fisico di <<distenditi>>; una certa tensione, sia essa di ordine muscolare o nervoso (d’altronde, entrambe sono collegate fra di loro),può impedirci non soltanto di stare bene, di aprirci agli altri, ma anche di essere permeabili ad un altra dimensione. Un monaco ortodosso contemporaneo diceva:<< Non si prega allo stesso modo con le natiche strette o con le natiche distese>> e aggiungeva: <<Dio è il medesimo, sia che siamo costretti o distesi, è vero, ma l’uomo teso è meno disponibile ad accogliere la sua Presenza; Dio è dappertutto, è esatto, ma Dio è dappertutto solo dove lo si lascia entrare>>. Distendersi è aprire sempre più le porte, siano queste sensoriali (le porte della percezione), affettive o intellettuali. Cerchiamo di ricordare un momento di distensione vissuto a contatto con la natura:<<Dove cominciava la terra, dove finiva il mio corpo?>> La distensione nel deserto non è cercata per il benessere che essa procura, ma come mezzo di ricettività all’altro, al tutto Altro; si può anche dire: <<mollare la presa>>, sciogliere l’influenza dell’ego, smorzare a volontà di riuscire a tutti i costi, fosse pure nella meditazione o nella preghiera. E’ nota la storia di quell’uomo che spingeva, spingeva per aprire la porta; quando si fermò sfinito, la porta si aprì…nell’altro senso…Si crede di cercare Dio quando è Lui che ci cerca; il nostro compito non è penderlo, è accoglierlo. Il dramma di Prometeo fu di volersi impadronire del fuoco che Dio voleva donargli; cercando di prenderlo, diventa incapace d riceverlo. La libertà e la pace del cuore non sono realtà acquisite, ma doni ricevuti, doni che sfuggono nel momento in cui si pensa di possederli; fra i monaci vi sono molti Prometeo che partono all’assalto di Dio come di un alta montagna; essi non hanno conosciuto il riposo, la <<quies>>. La grande nemica del riposo è la preoccupazione; già Gesù chiedeva ai suoi discepoli di non preoccuparsi e dava loro come modello gli uccelli e i gigli del campo: <<Non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e anche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, némietono, néammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate rima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani ha già le sue inquietudini. Ciascun giorno basta la sua pena>> (Mt 6,25-34)." (tratto da : L'esicaismo , che cos'è, come lo si vive - JeanYves Leloup - Ed Gribaudi) #LIBRI
La realtà è soggettiva. Ciò che accade a ognuno è funzionale solo ed esclusivamente al proprio processo di apprendimento e conoscenza di sé. Non agli altri ma solo a sé. Ognuno fa l'esperienza necessaria a sé. Amici, figli, mogli, datori di lavoro sono strumenti, sono mezzi, sono maestri volti alla nostra singola evoluzione. Ogni fatto accade solo per me. Sapere che altri hanno assistito a quel fatto è comunque sempre un mio sapere soggettivo. Sono sempre io a sapere che altri hanno partecipato alla stessa scena. Siamo soli nel nostro percorso. Non c'è un cammino parallelo di più soggetti che vivono soggettivamente le stesse esperienze ma ogni soggetto vive un esperienza unica non esperibile da nessun altro. Il mondo che mi circonda è "comparsa" funzionale al mio cammino individuale, tale cammino è solo il mio. Chi partecipa a questo cammino è comparsa della mia storia. Non può quindi esserci confronto vero con nessuno, perché io posso avere percezione solo della mia esclusiva narrazione. Ogni persona con cui mi confronto non è altro che mia narrazione. Solitudine assoluta. Ogni relazione è fasulla, è in realtà una relazione con me stesso. Solitudine totale. La sofferenza che vedo intorno è la mia sofferenza. La violenza che vedo intorno è la mia violenza. La merda che vedo intorno è la mia merda. La gioia che vedo intorno è la mia gioia. Tutto passa da me ed è espressione mia. Nasce da me, parla di me, serve a me. Tutta la vita si riduce ad un cammino solitario di conoscenza di sé. Di sé e basta. Tutta la vita è esplosione ed espansione di una coscienza che nasce da un luogo originario misterioso e altrettanto misteriosamente ad un certo punto si veste di un IO, prende il mio nome. Qui nasce la soggettività. Una solitudine mostruosa, devastante, nauseante che squarcia le budella. Per ritrovare ossigeno da respirare in questo loculo in cui sono sotterrato da solo a centinaia di metri sotto terra IO devo crollare, IO devo sparire, IO devo diventare niente, IO devo mollare ogni appiglio e fare un altro passo oltre il baratro Lasciare cadere la soggettività. |
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Settembre 2024
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