Di Luca Bacchi Se la mia felicità dipende da ciò che è passeggero,
anche la mia felicità è passeggera. Se la mia felicità è indipendente da ciò che è passeggero, allora la mia felicità non è passeggera. Mi domando: "Nella mia vita cosa mi rende felice? E ancora: "Ciò che ora mi rende felice, è passeggero o no? Se ciò che mi rende felice venisse a mancare come reagirei? Sarei nella disperazione? La Saggezza, in tutte le culture, ci insegna a fare affidamento principalmente su ciò che è eterno e non su ciò che al contrario è soggetto all'usura del tempo. Però , l'esperienza ordinaria ci fa affermare che tutto è soggetto ad usura. Tutto nasce, si manifesta e poi muore con tempi e modi che non possiamo prevedere. Mi chiedo: "Esiste qualcosa che non passa?" E ancora: "Esiste questo eterno di cui parla la Saggezza? Si, esiste! E le testimonianze nella storia degli uomini sono tante. Il percorso indicato dalla Saggezza per trovare ciò che è eterno, è sempre lo stesso: è il cammino interiore orientato dalla periferia di sè al centro di sè. Il centro di sè, il nostro centro, è il cuore, quindi questa via è la via del cuore. Con la parola "cuore" non intendo nulla di "romantico o sdolcinato" ma intendo proprio l'organo cardiaco collocato al centro del nostro petto. L'indicazione è quella di ritrarre l' attenzione dalle cose del mondo esteriore e tornare al proprio centro che è localizzato nel cuore e allenarsi a "percepirsi collocati in quel luogo". Questa via è praticabile con la meditazione. Chi medita seriamente fa questo: va alla propria origine interiore. Il cuore è considerato come una porta tra la dimensione relativa (le cose che passano) e quella assoluta (ciò che è eterno). In quanto porta, può essere sia spalancata che chiusa. Una volta collocati in prossimità di quella porta, possiamo afferrare la maniglia ed aprirla e sostare sospesi su quella soglia. L'uomo che si colloca nella propria origine, nel suo cuore, è egli stesso una soglia tra assoluto e relativo. Quel luogo, per molti, è definito anche "il centro" Perchè come il centro di un uragano, esso è fermo, inamovibile, mentre tutto là fuori passa, li c'è stabilità. Chi sa ritrarsi in quel centro e rimanervi ancorato, sa gestire le situazioni di difficoltà della vita, sa affrontare un lutto, sa osservare con distacco le cose del mondo senza farsi travolgere perchè ha messo le radici su ciò che è inamovibile. Stabilizzarsi in esso significa continuare a vivere la vita umana mortale con un radicamento nell'assoluto. E cambia tutto! In alcuni passi del Vangelo, quel luogo è definito "la roccia" su cui è bene costruire la propria casa. Vivere la vita ancorati a quel centro, a quella roccia assoluta, è la vera Grazia che non passa mai, che non si esaurisce mai, eterna. Percepire quella Grazia dentro il mio cuore significa che quella grazia è e sarà sempre con me; ovunque io vada e in qualsiasi situazione io mi trovi, qualla Grazia è in me e non dovrò cercarla altrove. Per comprendere come cambia la nostra vita quando siamo ancorati in quella Grazia interiore ci basti osservare ciò che sono riusciti a fare alcuni ebrei deportati nei campi di concentramento come ad esempio Etty Hillesum: Sentirsi nella Grazia anche quando fuori tutto è annientato dalla morte e dal dolore e con questa Grazia riuscire ad illuminare intorno a noi coloro che tale Grazia non hanno ancora trovato. Nei momenti peggiori della storia dell'uomo sono emerse testimonianze di questa Grazia eterna. E' collocata dentro al nostro cuore e vale la pena di cercarla. All'inizio del cammino verso la Grazia, è necessario un atto di fede, che consiste nel credere che tale Grazia esista veramente. Quindi iniziare a cercarla con tutte le nostre forze. Leggendo i testi dei maestri che hanno indicato la via. Facendoci guidare da chi ha già percorso la strada. Addentrandoci e avvicinandoci al nostro centro con una pratica meditativa essenziale, e piano piano il luogo della Grazia inizia a mostrarsi e ripaga i nostri sforzi "il 30, il 60, il cento per uno".
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Settembre 2024
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